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venerdì 1 novembre 2013

Collezionisti di cose inutili, di Paolo Siani


Inizia oggi una nuova rubrica ideata da Paolo Siani, che ringraziamo per l’impegno e la collaborazione.


Collezionisti di cose inutili, giocatori di puzzles, ovvero l’involuzione della specie.Dopo gli anni 80 che videro la nascita delle prime macchine digitali (drumbox, samplers ecc.) in cui l’industria della musica si era dedicata alla ricerca di sonorità nuove e per certi versi rivoluzionarie (penso per esempio al favoloso Fairlight CMI o alla Linndrum), negli ultimi 10 anni il mercato della strumentazione è totalmente cambiato. Nulla da dire sulle ragioni che hanno generato questi enormi cambiamenti, ognuno fa legittimamente il proprio mestiere, ma se negli 80 il musicista era riuscito a liberarsi  dai limiti enormi imposti dal ‘’ping-pong’’  con il Revox per registrare una nuova canzone e quindi ad ottenere considerevoli vantaggi in termini qualitativi, negli ultimi anni il mestiere dello scrivere una canzone e registrarla è diventato quasi inaccessibile. Oggi ogni musicista possiede uno strumentario che negli anni 70 non si trovava neanche negli studi più rinomati al mondo, i suoni sono solidi e veri, la fedeltà assoluta e la dinamica migliore di quella dei Pink Floyd del passato. Ma non è questo il punto; con la continua messa sul mercato di strumenti virtuali con migliaia di ottimi preset, di virtual drums con minimo 300 rullanti tra cui scegliere, orchestre da gestire, fiati da programmare, chitarre e bassi da amplificare (in modo virtuale ovviamente), il tempo dedicato allo scrolling di tutti questi miliardi di suoni fa perdere al compositore la continuità con l’idea cui sta lavorando e il risultato agli occhi di tutti, anzi alle orecchie, è un enorme appiattimento delle nuove produzioni che suonano in maniera straordinaria ma che sono prive di contenuti ‘emozionali’. Siamo diventati collezionisti di virtual instruments, soundbanks e di plug-ins sempre più numerosi e potenti, abbiamo a disposizione infinite tracce da registrare, preamps microfonici costosissimi e da paura, per partorire ‘topolini musicali’. Ripeto il mercato fa il suo mestiere ma credo che i musicisti/compositori dovrebbero ritrovare il coraggio a questo punto di togliere più che di aggiungere suoni/effetti e scegliere di seguire un’idea (l’ispirazione) spogliandola di ogni orpello inutile; forse in questo modo ci si concentrerebbe di più sull’armonia, sulla melodia, su una parola del testo, sulla composizione nella sua reale sostanza e non sul ‘vestito’ che, solo in seguito decideremo di darle.  Il tempo che dedichiamo alla scelta di un suono è enormemente superiore a quella che ultimamente si dedica ai contenuti, fino a trasformarci in semplici giocatori di puzzles  togliendo alla creatività e alla forza della semplicità tutto lo spazio che meritano. Concentrarsi su un’idea e rinunciare a ridondanti orchestre sinfoniche, a batterie martellanti e assolutamente ‘’in griglia’’ anche quando non ce ne sarebbe bisogno, è una strada da ri-percorrere con semplicità ed onestà intellettuale utile se non altro a pesare il reale valore delle nostre idee. Recuperare la voglia di uscire dagli schemi, di andare controcorrente, dovrebbe ritornare ad essere lo stimolo più importante di ogni musicista: smetterla di mettere insieme e al meglio infinite collezioni di suoni, ma fare arte, cioè cercare il modo di trasmettere emozioni.

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