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lunedì 22 febbraio 2016

Il Mastering, di Paolo Siani


Sento spesso parlare di Mastering ma credo che per la maggior parte dei lettori non sia esattamente chiaro di che cosa si intenda. Sarà utile allora tornare un po’ indietro nel tempo quando l’operazione del Mastering si chiamava Transfer. Infatti, prima dell’avvento dell’era digitale, il Transfer era l’operazione in cui un brano, un album veniva trasferito dal nastro finito e mixato (dal Master appunto) ad un supporto chiamato Lacca cioè un disco metallico laccato di materiale vinilico su cui una macchina apposita, attraverso una punta (spesso un diamante) incideva fisicamente i solchi.
Questa operazione è sempre stata molto delicata e difficile perché bastava un picco di volume in eccesso perché la punta ‘’saltasse’’ un solco e quindi rendesse inservibile il supporto o, peggio, distruggesse addirittura la punta stessa.
I vecchi compressori analogici valvolari erano efficaci ma spesso non abbastanza veloci per ovviare a questo inconveniente; per questa ragione l’operatore ascoltava ripetutamente il brano da trasferire alla ricerca di eventuali picchi di volume indesiderati ed eventualmente intervenire per ‘’limitarne’’ l’impatto sulla punta della macchina-transfer. Visivamente aveva solo la possibilità di osservare i movimenti degli aghi dei VU meters ovvero dei Pic Meters cioè strumenti i cui aghi memorizzavano i volumi massimi durante l’ascolto. L’abilità dell’operatore consisteva proprio nel massimizzare il volume in funzione del brano da trasferire.
Oggi. Nell’era digitale,  il Mastering ha cambiato di fatto la sua funzione e il suo significato, I Pc regnano sovrani anche nella musica e tutto apparentemente è molto più semplice e controllabile.
Sullo schermo del computer infatti si può analizzare l’ampiezza dell’onda e addirittura la sua forma ed intervenire eventualmente per evitare overloads o distorsioni digitali che, a differenza dell’analogico quando una sana distorsione del nastro rendeva il suono generale più accattivante, non è ammissibile in quanto suonerebbe come una vera e propria pernacchia.
Esistono oggi programmi anche economici che consentono ‘a tutti’ di masterizzare la propria musica prima di riversarla su un CD ma (ed è questa la ragione di queste righe) oggi si pensa che il Mastering sia quell’operazione che serve ad aumentare dinamica, pressione e volume al massimo.
Legittimi i tentativi che ognuno può fare  a casa propria per migliorare la propria musica, credo valga la pena sottolineare come il Mastering possa fare la differenza tra un prodotto amatoriale ed uno professionale. Innanzitutto nel Mastering non c’è nulla di scontato tranne le capacità ‘’uditive’’ dell’operatore professionale. Nel Mastering si opererà su frequenze, limiting ecc con valori del tutto risibili rispetto alla fase di Mixaggio: sto parlando di valori in un range che va da 0,5db ad un massimo di 2,0db cioè valori che la maggior parte di noi non è in grado di discriminare in fase di ascolto; altrettanto importante è l’ambiente in cui il Mastering viene fatto: non una camera anecoica ma qualcosa di molto simile. Gabbie sonore, pannelli e materiali appositamente studiati per quello specifico ambiente che controllano sia la dispersione che la riflessione. Altrettanto importante  ovviamente è la coppia di casse, di ascolti come si dice in gergo, che devono avere una definizione a dir poco eccezionale che hanno costi molto rilevanti (fino a 50/70.000 euro la coppia).
Lo strumento più importante però non è in vendita ed è costituito dalle orecchie del Mastering Engineer e dalla sua esperienza. La prima cosa che cercherà è la ‘’Clarity’’ cioè la trasparenza del suono in tutti i mezzi di riproduzione possibili, dal misero ascolto auricolari/Mp3 al sistemi giganteschi di una discoteca passando dall’autoradio, dalle cuffie, e dagli impianti HI-Fi più evoluti.
Questo è il vero senso del Mastering oggi: dimenticati i problemi di dinamica che oggi è a livelli impensabili anche nei mezzi di ascolto più poveri, è la capacità di intervenire su specifiche frequenze che con il loro risuonare, coprono, mascherano la sonorità generale del brano; è una operazione assolutamente di carattere tecnico, molto fine, per niente emozionante, dove la nostra musica è passata ai raggi X senza pompaggi inutili che i musicisti-compositori usano per enfatizzare, emozionare nei vari passaggi di un brano.
Tutte queste operazioni vengono fatte con apparecchiature assolutamente analogiche esoteriche e costosissime anche se il prezzo non è assolutamente il primo problema da affrontare; indovinare la frequenza in eccesso o povera durante l’ascolto di un brano è un lavoro difficilissimo che richiede anni di esperienza ammesso che si abbiano le capacità mentali e strutturali, ancor più difficile se si considera che il volume di ascolto è sempre molto basso rispetto al volume cui è abituato ad ascoltare un musicista.
Per finire aggiungo che oggi, per fortuna, il costo di una seduta Mastering, in uno dei pochi studi attrezzati, si è notevolmente abbassato e questo rende possibile a tutti di accedere ai benefici che questo tipo di operazione può offrire migliorando sensibilmente la qualità finale dell’ascolto.
Paolo Siani

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